Perché prendersi cura di sé non dovrebbe essere una to-do-list

Ogni giorno, aprendo i social, guardando una serie tv, parlando con gli amici, ascoltando discorsi random sui mezzi pubblici, vedendo di sfuggita una pubblicità-progresso appiccicata sopra a qualche pannello destinato, acquisiamo più o meno consapevolmente informazioni e, soprattutto, regole implicite.

Sempre più o meno consapevolmente, queste regole vengono inserite nel nostro sistema valoriale o, comunque, di funzionamento della realtà finché non diventano idee e, senza che ce ne accorgiamo, ci troviamo improvvisamente a pensare a come trasformare queste idee in azioni.

Spesso, soprattutto ultimamente, queste informazioni, che diventano, regole, idee fino a trasformarsi in azioni, riguardano la cura di sé che ormai (per fortuna) è un valore sempre più radicato nella cultura occidentale.

Alt! Fermiamoci un secondo per farci qualche domanda (prova a rispondere interiormente prima di proseguire con la lettura):

Mi trovo a pensare che se seguissi queste regole la mia vita potrebbe migliorare? E mi chiedo anche, per caso, se la mia vita adesso abbia qualcosa che non vada? E quando penso a me stess* mentre seguo queste regole, mi immagino come una versione migliore di me?

Se le risposte sono , e , prova anche a chiederti se effettivamente nella tua vita ci sia qualcosa che non vada.

Ovviamente sì.

Il punto della questione però è: esistono davvero delle regole valide per tutti in grado di consentire a chiunque di diventare la versione migliore di sé?

Ovviamente no.

Il rischio secondario della “cultura della cura di sé” è che si creino generalizzazioni e una certa normatività per cui le persone si illudono che seguendo una certa routine, creando delle to-do-list da completare tassativamente possano in qualche modo raggiungere il miraggio della versione migliore di sé.

Quindi? Come vanno prese queste informazioni? Sono fuorvianti? Non esistono regole?

Queste informazioni non sono fuorvianti di per sé, sono per lo più corrette ed è assolutamente importante che vengano diffuse, ciò che può essere fuorviante è come debbano essere utilizzate: si tratta di linee guida che, come dice il nome, dovrebbero guidare il comportamento, non forzarlo come nel caso delle regole.

Prendersi cura di sé dovrebbe quindi essere una cultura, ovvero qualcosa che si coltiva gradualmente e nel rispetto della propria individualità ed unicità. Per fare ciò, ben vengano le linee guida ed i consigli che, tuttavia, è importante imparare a declinare su di sé, ovvero imparare ad adattare alla propria persona, tenendo conto di:

  • stile di vita
  • attitudini
  • gusti personali
  • capacità di gestione emotiva
  • risorse energetiche
  • stato di salute
  • ecc..

Cosa vuol dire ciò in termini pratici? Significa porsi delle domande prima di andare alla ricerca disperata di un manuale di istruzioni per lo stile di vita perfetto (che, spoiler, non esiste):

  1. Come sto in questo periodo?
  2. Mi manca qualcosa?
  3. Sento che qualche bisogno non è soddisfatto?
  4. Quali sono gli ostacoli che mi impediscono di soddisfare questo/i bisogno/i?

Rispondere a queste domande può cominciare a guidare il proprio comportamento alla ricerca delle linee guida migliori per sé, da cui può essere utile partire per migliorare la propria situazione, nel caso in cui sentiamo dei bisogni insoddisfatti, per poi adattarle sempre di più a sé chiedendosi:

  1. Cosa mi piace fare?
  2. Quali attività preferisco/ ho sempre preferito?
  3. Cosa mi piaceva fare prima quando sentivo un determinato bisogno non soddisfatto?
  4. Quando potrei farlo?

In questo modo le regole vengono adattate a sé. Il passo ancora successivo, al raggiungimento del quale si potrà dire di aver veramente abbracciato la cultura della cura di sé,  sarà quando si troveranno modi unici e creativi per soddisfare i propri bisogni senza neanche più ricorrere alla lettura di linee guida.

Prendersi cura di sé significa prima di tutto imparare ad ascoltarsi e rispettarsi senza sentire la pressione di doversi forzare all’interno della vita perfetta secondo qualcun altro.

 

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